tratto dalla rivista Fisiatria Italiana
di Mauro Piria – membro ANF
L’esistenza dell’energia vitale e la sua influenza sulla salute del corpo umano erano note ai popoli antichi sin dal 5000 a.C.; erano in qualche modo a conoscenza che la distribuzione energetica nel nostro organismo deve essere in equilibrio, fluida e costante, per essere in buona salute. E i più accorti avevano notato, già all’epoca, che le energie presenti in natura influenzavano il funzionamento del nostro organismo, per questo da sempre l’uomo si è adoperato per far proprie le metodologie per poterle convogliare, dosare e infondere nel giusto modo.
Nel corso dei secoli il controllo e la gestione di questi elementi e lo studio sugli effetti che producono si è andata via via perfezionando tanto che i Padri Costituenti della nostra disciplina, nella loro lungimiranza, hanno inteso dare la massima importanza all’utilizzo curativo dei mezzi fisici presenti in natura contraddistinguendo il nostro approccio terapeutico nella Medicina Fisica. La prima società medico scientifica, risalente al 1920, prese il nome di “Società Americana di Medici di Medicina Fisica”, il termine “riabilitazione” si aggiunse, definitivamente, al termine “medicina fisica” qualche tempo dopo, nei primi anni 40.
Nel secolo scorso la scuola di specializzazione in MFR (allora Fisioterapia) attraeva tanti medici neolaureati anche per le potenzialità della Terapia Fisica, volevano acquisire le conoscenze e le competenze per poter utilizzare apparecchiature elettromedicali quali fonti capaci di produrre energia da somministrare ai pazienti secondo ben precise modalità, tali da essere in grado di poter migliorare le loro condizioni cliniche alterate o compromesse, con pressoché nulli effetti collaterali e/o controindicazioni. Abilitazione che solo il corso di formazione Specialistica in MFR può legittimare, è infatti il Fisiatra l’unico specialista medico che può prescrivere le terapie fisiche.
Anche se la letteratura scientifica è carente di studi, sono inconfutabili i grandi benefici sul dolore, la flogosi, gli edemi, ottenuti con l’utilizzo delle energie fisiche, e ancora: aumento del metabolismo tissutale e dei processi biologici enzimatici, stimolazione del tono muscolare ed aumento dell’efficienza contrattile, riduzione della rigidità articolare, con effetti duraturi nel tempo.
L’utilizzo di tali mezzi è ben accettato dai pazienti che ne apprezzano i giovamenti, ancor di più se intolleranti ai farmaci antinfiammatori, o perché ipertesi – enteropatici – con allergie, o perché impossibilitati a ingerire altri farmaci oltre quelli che già assumono per le varie patologie di cui soffrono (diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, depressione, etc) e favorevolmente accolta dai MMG per i riscontri positivi nei risultati di tali cure.
Ahimè, nel 2001, queste consolidate acquisizioni medico-scientifiche sono state messe in seria discussione con la pubblicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, che hanno avuto effetti devastanti nel loro utilizzo, complici alcuni Fisiatri inadeguati, mossi probabilmente da discutibili ideali.
È tristemente noto che il decreto sui LEA del 2001, entrato in vigore a febbraio 2002, ha decretato l’impossibilità di poter erogare, in convenzione, quasi tutte le energie fisiche, ben 17 prestazioni, non perché inefficaci, ma per mancanza di sufficienti studi clinici a supporto della loro efficacia, creando comprensibile sconcerto tra noi Fisiatri che consideriamo la terapia fisica una componente fondamentale della nostra disciplina, da utilizzare, gestire e coordinare, all’interno del Percorso Riabilitativo Individuale.
Ed è incomprensibile il riconoscimento di altre prestazioni, tra cui la paraffinoterapia, ormai in disuso perché superata e obsoleta, che hanno le stesse carenze di studi validanti.
Ma sappiamo bene che i LEA hanno dimostrato sin dalle origini poco rispetto e scarsa considerazione per la MFR, soprattutto Territoriale, disconoscendo da sempre la presa in carico riabilitativa e relegando le possibilità prescrittive solo a cicli di prestazioni avulse dal contesto clinico e consentanee solo alle specialità d’organo.
Questa presa di posizione contro la Terapia Fisica ha avuto un altro effetto frenante sullo sviluppo della Medicina Fisica in quanto, nelle strutture riabilitative pubbliche, non solo vengono negate le richieste di acquisto di nuove apparecchiature elettromedicali, ma non viene neanche effettuata la manutenzione di quelle in dotazione; quindi, non più utilizzabili e confinate in qualche angolo nascosto del reparto.
È vero che l’introduzione in commercio delle apparecchiature elettromedicali, contrariamente a quanto avviene per i farmaci, non contempla alcuna valutazione preventiva in ordine alla loro efficacia e all’appropriatezza d’impiego, ma è richiesta solo la valutazione della sicurezza d’uso e la dimostrazione di saper fornire le prestazioni loro assegnate dal costruttore, con una sua semplice dichiarazione, ed è vero che molte apparecchiature immesse sul mercato sono caratterizzate da imponenti campagne pubblicitarie in assenza di documentazione scientifica in grado di provarne la loro reale efficacia, ma solo le ormai standardizzate indicazioni e controindicazioni e questo porterebbe ad una ulteriore scetticità al loro impiego, non tanto nei Fisiatri con anni di specifica esperienza, che sono consapevoli dei risultati che si possono ottenere con le terapie fisiche, ma nei giovani colleghi.
È anche vero che gli studi sulla validità delle energie fisiche, sino a qualche anno fa, sono stati carenti in quanto c’è una estrema variabilità del quadro clinico dei pazienti, quindi campione non omogeneo, ed i trattamenti prevedono spesso una politerapia fisica e non monoterapia, che spesso viene associata all’esercizio terapeutico, pertanto è difficile scorporare l’effetto curativo prodotto da ciascuna energia fisica, ed è per questo che sono da incentivare le sperimentazioni capaci di dimostrare, con certezza scientifica, misurabile e condivisibile, la validità terapeutica del loro utilizzo.
È fondamentale che l’utilizzo delle energie fisiche sia sempre preceduto da un ragionamento clinico che porti ad una valutazione del paziente, ad una diagnosi riabilitativa ed un piano terapeutico, che conduca ad una corretta indicazione ed una logica nella loro applicazione riguardo il dosaggio, la frequenza e intensità di erogazione del mezzo fisico, perché la stimolazione a livello dei tessuti trattati sia concreta e soddisfacente, in modo da garantire l’appropriatezza delle cure, che viene assicurata solo se vengono soddisfatti questi requisiti,
E l’outcome che ci interessa perseguire deve essere valutato, in termini di efficacia e di evidenza, in rapporto ai bisogni ed ai desideri del paziente, con misurazioni indirizzate alla analisi dei parametri che definiscono un miglioramento delle qualità della vita, non concentrate su un solo ambito (dolore), come si è fatto finora, che continuerebbe a offuscare le loro effettive potenzialità.
Mauro Piria
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